Invito alla lettura: L’isola che se ne andò

L’invito ai soci a donare periodicamente un proprio libro alla Biblioteca è tra le tante iniziative promosse dall’Associazione amici della biblioteca di Pietraperzia; non l’ho ancora fatto perché ultimamente non mi è stato possibile venire in paese: mi riprometto di ovviare al più presto.

Ho inteso l’invito non solo come un modo coinvolgente di farci sentire tutti in qualche modo partecipi dell’impegno a dare anche un modesto contributo ad arricchire il patrimonio librario comune della biblioteca, ma anche come una sollecitazione a comunicare esperienze di letture che ci sembra utile segnalare e magari condividere.

In questo caso avevo pensato ad un volumetto uscito qualche anno fa che ho incontrato per caso in una bancarella alla rassegna “La via dei librai” svoltasi a Palermo lungo il Corso Vittorio Emanuele, la scorsa primavera.

Il titolo del libro è “L’isola che se ne andò” ed il suo autore è Filippo D’Arpa, uno scrittore e giornalista palermitano.
Di che si tratta? Della cronaca di alcuni eventi accaduti in Sicilia nella seconda metà del 1831, narrati in forma romanzata ossia mischiando e facendo interagire i fatti ed i protagonisti reali di quegli eventi con personaggi ed eventi collocati in quella medesima scena, dalla vena creativa dell’autore.
L’isola che se ne andò è il lembo di terra che, emersa dal fondo del mare nel luglio del 1831 a seguito di una serie di eventi eruttivi verificatisi nel canale di Sicilia, tra Sciacca e l’isola di Pantelleria, si allargò in estensione fino ad una superficie di circa 4 km² raggiungendo i 65 metri di altezza fuori dal mare.  Il fenomeno incontrò un comprensibile interesse scientifico ma ancor più alimentò una disputa politico-diplomatica riguardante i diritti sul possesso su quella terra emersa e che vide protagoniste, oltre che, ovviamente, il  Regno delle due Sicilie, Inghilterra e Francia che ne considerarono la potenziale valenza strategica nel Mar Mediterraneo fino ad immaginarla come punto di riferimento e possibile approdo delle loro flotte, sia mercantili che militari.
Seguì una corsa delle marine di quelle nazioni ad osservare da presso il fenomeno, a studiarne la natura, a controllarsi a vicenda ed a posizionarsi con l’intento di piantare ciascuna le proprie bandiere sull’isola ed offrire la nuova terra ai rispettivi sovrani.
Per quanto il fenomeno fosse stato osservato per primo dal capitano Trifiletti, comandante di un brigantino che trasportava merci da Palermo a Malta ed a riferirne alle autorità del Regno delle Due Sicilie, furono gli Inglesi a muoversi per primi.
Questi, già di stanza nell’isola di Malta, teorizzarono che trattandosi di “insula in mari nata” era da considerarsi alla stregua di res nullius sicché la prima nazione a mettervi piede avrebbe potuto rivendicarne legittimamente il possesso; nel mese di agosto il capitano della marina britannica Jenhouse annunciò (e chi poteva dimostrare il contrario?) di essere sbarcato sull’isola e di avervi piantato la bandiera britannica  e la chiamò isola “Graham”.  
E i francesi? Non potevano certo stare a guardare. Magari non proprio navi militari ma una missione scientifica andava inviata con qualche fucile a bordo non si sa mai.  Il settembre successivo anche loro erano sull’isola (che ribattezzarono “Iulia”) a studiarla e ad issare  sul suo punto più alto la loro bandiera (non si sa mai).  
In tutto questo il re Ferdinando II (in quel mese di luglio a Palermo per partecipare al festino di S. Rosalia) che rivendicava l’isola come territorio dello stato borbonico, essendo questa sorta nella acque siciliane, inviò sul posto la corvetta bombardiera Etna al comando del capitano Corrao  il quale (anche lui) sceso sull’isola vi piantò la bandiera borbonica e la battezzò “Isola”Ferdinandea” in onore del sovrano del Regno delle due Sicilie.  
E la nobiltà siciliana (che aveva più di un motivo di astio verso la dinastia borbone che aveva tradito la Sicilia e la Costituzione)? Cominciò a coltivare l’idea che quella terra si potesse barattarla con gli inglesi: l’isola a voi e la Sicilia ad un re siciliano “che si controlla meglio”.
Ma su di essa discettò dottamente anche la sapienza popolare: in punto di scienza, in punto di religione e in punto di diritto.
Certo non ci si poteva accontentare delle spiegazioni del Gemmellaro o dello Scinà (grandi scienziati per carità, ma…): vulcano tra i tanti in Sicilia.
Salvatore Rosa riverito ricevitore doganale in quel di Sciacca (con riconosciuto talento in campo scientifico e che “se avesse studiato un po’ di più non starebbe a Sciacca”) era convinto che stava cominciando il finimondo e che altra “terra si sarebbe aggiunta…forse più grande della Sicilia stessa, magari la terra che ci unirà alla nostra madre greca”.  Altri dotti riconobbero i segni dell’intervento diretto del maligno perché tale era il tanfo sulfureo che emanava dall’isola che doveva per forza provenire direttamente dagli inferi.
Totò e u zu Mario discettarono su di essa in punto di diritto con il primo che chiedeva al secondo (“con l’ultimo bicchiere di vino in mano”) ma “l’isola di chi è? Di chi se la prende rispose u zu Mario”.
Né mancò di alimentare la vena compositiva di chi volle celebrarla in versi:
Splendida forma che surgisti dal mare
Schiumosa ragione portasti la vita
Furente e possente t’alzavi
Minchia, però, come puzzavi!
A quel punto, dopo che aveva già collezionato tanti nomi differenti, dopo che tre differenti bandiere sventolavano su di essa; dopo avere irretito politici, militari, diplomatici, diviso scienziati ed appassionato la popolazione, quella mitica apparizione cominciò a sprofondare  finché, nel gennaio del 1832, ritornò sotto il mare sottraendosi a tutti quanti i suoi pretendenti: metafora perfetta di una disputa rimasta appesa al nulla. 

U “cuntu” dell’isola Ferdinandea rivive nelle strofe del cantastorie:

Si conta e si racconta a voi signori
La storia di una bella sirenetta
Tra gli scogli, pietre, sabbia e il suo sole,
stava seduta in mezzo al mare.
Ritorna, s’affonda
nel fondo più fondo
nel cuore del mondo:

con l’onda del mare 

Salvatore Di Gregorio

 

Una risposta a “Invito alla lettura: L’isola che se ne andò”

  1. 2018 22:02Grazie per l'articolo sign. Di Gregorio. È interessante e illuminante su quello che accadrà esattamente trent'anni dopo con la pseudo-unificazione italiana. Incoraggiata, ma soprattutto finanziata dall'Inghilterra in primis che colse la palla al balzo per il dominio del Mediterraneo cui aspirava da tempo. E se corse a perdifiato per un isolotto, figuriamoci cosa sarebbe stata disposta a fare – e di fatto fece – per affondare un intero regno (quello delle Due Sicilie), che era proprio il cuore pulsante del Mediterraneo.

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